L’emergenza Covid ha costretto le aziende a rivalutare modalità di lavoro agile e da remoto, alle quali in precedenza non avevano fatto ricorso in maniera così massiva.

L’emergenza Covid ha costretto le aziende a rivalutare modalità di lavoro agile e da remoto, alle quali in precedenza non avevano fatto ricorso in maniera così massiva.

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Uno studio di Bankitalia, pubblicato nella serie “Note Covid-19 – Il lavoro da remoto in Italia durante la pandemia”, evidenzia che il numero dei lavoratori interessati è cresciuto da meno di 200 mila a 1,8 milioni e in media i dipendenti in smart working hanno lavorato più ore (6%) e hanno fatto meno ricorso alla Cassa Integrazione rispetto a quelli che non hanno usufruito del lavoro da remoto.

Per molti, lavorare da casa o comunque da remoto in modo flessibile è stata una piacevole scoperta, in termini di risparmio di tempo e costi di spostamento e di miglioramento del work-life balance. Ancora maggiore è stato il riflesso dello smart working sulla sostenibilità.

Già nel 2018, in uno studio dal titolo Added Value of Flexible Working, era stato analizzato l’impatto del lavoro flessibile in sedici paesi e si era arrivati alla conclusione che la diffusione su larga scala del lavoro flessibile avrebbe potuto ridurre i livelli di anidride carbonica di 214 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030, equivalenti a 5,5 miliardi di nuovi alberi piantati nei prossimi dieci anni.

Lo smart working consente infatti di risparmiare sui consumi di energia negli uffici, soprattutto per il riscaldamento, il raffrescamento e l’illuminazione. Si riduce drasticamente anche l’uso dei mezzi di trasporto e quindi anche delle emissioni di CO2, con un beneficio immediato sull’ambiente.  È quanto è accaduto anche in Hoval, azienda che da sempre annovera tra i suoi valori il fatto di essere responsabile per l’energia e l’ambiente. Quantificando, grazie allo smart working i dipendenti hanno percorso in un anno 1.550.351,4 Km all’anno, con un risparmio di 167,4 tonnellate di Co2.