La Decarbonizzazione
La Decarbonizzazione
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Sembra essere questa la parola del prossimo futuro e, fortunatamente, anche del presente. Come evidenziato dall’ultimo rapporto del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (IPCC), le opzioni per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi ai cambiamenti climatici sono molteplici, fattibili ed efficaci. E, fattore ancora più positivo, sono disponibili sin da ora.
E dato che, come ha ricordato Hoesung Lee, presidente dell’IPCC, «i cambiamenti trasformativi hanno maggiori probabilità di successo quando c'è fiducia, quando tutti collaborano per dare priorità alla riduzione dei rischi e quando i benefici e gli oneri sono condivisi in modo equo», c’è davvero bisogno dell’impegno di tutti, di una presa
di coscienza collettiva e unanime che porti, nella pratica, verso un graduale abbandono di combustibili fossili e un utilizzo crescente di fonti energetiche rinnovabili e più sostenibili.
Non esiste però un’unica via per la decarbonizzazione, e nemmeno una killer application nettamente più efficiente e sostenibile rispetto alle altre, ma esiste un paniere di soluzioni da cui ogni comunità/Stato può pescare per scegliere il mix energetico più adatto alla sua storia, alla sua configurazione geografica, alle sue risorse e alla sua cultura.
La necessità è dunque quella di ridurre in maniera significativa il consumo di energia fossile, rispettando tutte le dimensioni della sostenibilità tecnica ed economica.
L'Italia è un Paese fortemente antropizzato, ha poche materie prime e poco spazio, rispetto per esempio a Spagna o Nord Africa, per le rinnovabili. Da sempre porta avanti una politica energetica giocata su più tavoli per assicurarsi, se non l’indipendenza, una certa autonomia da singole fonti di approvvigionamento.
Per questo la transizione energetica non solo non deve spaventare, ma può e deve essere vista anche come un'opportunità: infatti può, finalmente, creare le condizioni per cui i singoli territori valorizzino in pieno le specificità che li caratterizzano. In questo senso il concetto di transizione va di pari passo con quello di smart grid e con quello di comunità energetica.
L’idea, infatti, è che esista una rete intelligente, o una serie di reti connesse tra loro, che sia in grado di gestire tutte le fonti di approvvigionamento energetico, scegliendo di volta in volta su quale puntare a seconda delle condizioni del momento (sia del mercato, quindi del mero costo, sia atmosferiche). Una rete smart in cui le singole
utenze potranno riversare le eccedenze nei momenti di picco e a cui potranno richiedere energia in caso di necessità.
Un modello interessante, dove ogni punto connesso è contemporaneamente un polmone capace di erogare o trattenere energia a seconda delle esigenze.
Stiamo parlando di tecnologie efficienti e flessibili, capaci di produrre energia da fonti diverse, anche considerando che, ad oggi, puntare soltanto sulle batterie è impensabile.
L'idrogeno, che è un vettore energetico, in questa visione può avere un suo spazio: non esiste in natura, ma può essere visto come un mezzo di conservazione dell'energia. Per essere a impatto zero e quindi “verde” deve essere prodotto con rinnovabili e rappresenta un fulcro attorno al quale sta crescendo un ecosistema tecnologico su cui
in molti stanno investendo.
L'Italia, dato il suo posizionamento strategico tra Nord Africa e centro Europa, può essere un ponte ideale e potrebbe diventare un hub distributivo. Per questo deve avere la forza e l'intelligenza di sviluppare tutte le tecnologie possibili e utili per gestirlo e utilizzarlo.
A livello locale si stanno ideando le hydrogen valley, progetti strategici pensati per connettere mondi diversi: tipico il caso dell'acciaieria, che utilizza nei suoi processi l’idrogeno, ma che cede le eccedenze produttive alle flotte degli autobus locali. Un’iniziativa sulla quale si sta lavorando a Terni, ma che prevede una forte interconnessione tra settori differenti e una solidità infrastrutturale sulla quale l'Italia può, almeno in parte, già contare (secondo
gli studi di RINA la rete di Snam potrebbe trasportare anche idrogeno, previ pochi investimenti soprattutto nelle valvole).
Oltre all'idrogeno le comunità locali possono puntare ad una parziale autonomia lavorando sul biogas. In questo caso il problema è riuscire ad avere scarti produttivi da lavorare e trasformare (tipicamente provenienti dal settore agricolo, ma anche da molte produzioni industriali) di qualità e in quantità sufficiente. Il tutto deve essere di “prossimità”, perché è evidente che spostare la materia prima è costoso in termini economici e ambientali. Per
questo si stanno costruendo consorzi che riuniscono più aziende agricole in modo da raggiungere le quantità necessarie.
A Vicenza i due impianti di Motta Energia e EBS consentono, congiuntamente, di produrre circa 7mila tonnellate di biometano liquido all’anno, partendo dalla valorizzazione di effluenti zootecnici (letame e liquami bovini, pollina, ec...) provenienti da 120 aziende agricole del territorio.
Tutto questo movimento comporta però un deciso cambiamento anche in chi andrà a mettere a terra le soluzioni che poi porteranno energia, acqua calda e riscaldamento nelle nostre case.
Infatti, prima che queste tecnologie siano alla portata di tutti e in grado di rispondere alle necessità del Paese ci vorranno anni, incentivi e grandi investimenti.
Nel frattempo, per gestire il periodo di transizione, che per l'Unione Europea dovrebbe terminare nel 2035, si stanno lanciando sul mercato una serie di soluzioni capaci di abbattere bolletta ed emissioni. Alcuni lavorano su accumulatori elettrici progettati per gli edifici, altri su celle a idrogeno, altri su un mix di queste due tecnologie.
L'Italia ha da sempre puntato sul gas quindi, come evidenzia l'esperienza vicentina già citata, vede nel biometano una risorsa interessante. New Holland, per fare un nome, ha lanciato un trattore che va a biometano, a dimostrazione di quanto il tema sia sentito.
Va nella stessa direzione la soluzione proposta da Hoval con UltraGas2, una caldaia in grado di essere efficiente con differenti “carburanti”, dal momento che può lavorare con gas naturale, biometano (100%) e con idrogeno miscelato fino ad una quota del 20%. Una flessibilità che garantisce l'abbattimento delle emis-sioni e un ritorno dell'investimento con un cospicuo risparmio in bolletta.
Perché per definizione la transizione durerà molti anni e per non farsi trovare impreparati è bene puntare su soluzioni sostenibili per l'ambiente e per il nostro portafoglio.